L’alternanza di siccità e piogge torrenziali, temperature elevate e parassiti hanno colpito il raccolto con perdite del 70%. Siamo il secondo produttore mondiale dopo la Turchia che ora ci sta soffiando il mercato
Dovremo dire addio alle creme spalmabili e ai gianduiotti o iniziare a considerarli beni di lusso? Probabile, visto come la crisi climatica sta devastando la produzione italiana di nocciole, mettendo in ginocchio un settore che vale oltre 120 milioni di euro solo nel Lazio e che rappresenta un’eccellenza del made in Italy. Secondo Coldiretti l’Italia è il secondo produttore mondiale dopo la Turchia, con quasi centomila ettari coltivati e una produzione che si aggira sui 100 milioni di chili.
La crisi è conclamata e a confermarlo sono gli stessi agricoltori: «Su 10 ettari coltivati quest’anno avrò raccolto il 30% di quello che si potrebbe», racconta Isabella Ciattino, agricoltrice e presidentessa del Consorzio tutela e valorizzazione della Nocciola Piemonte IGP. La sua testimonianza fotografa una realtà che si ripete a macchia di leopardo in tutte le regioni vocate alla corilicoltura.
In Piemonte si prevede una diminuzione del 70% della produzione, mentre nel Lazio le perdite superano il 70% e in molti casi raggiungono il 100% per le aziende biologiche.
Le cause sono sempre le stesse: cambiamenti climatici estremi che alternano siccità prolungate a piogge torrenziali nei momenti più delicati della fioritura.
«Siamo passati da due anni dove c’era parecchia siccità, a quest’anno, in cui abbiamo avuto il problema delle ingenti piogge nel periodo di aprile-maggio e anche in quello di fioritura», spiega Ciattino. A questo si aggiungono le temperature altissime dell’estate e, in Lazio, gli attacchi della cimice asiatica. Il risultato è che a giugno la materia prima disponibile era già finita, quando normalmente si riesce ad arrivare «quasi a ridosso del nuovo raccolto», commenta l’imprenditrice.
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Fonte: La Repubblica – Affari e Finanza