Il ricatto dei supermercati all’agricoltura italiana: come la GDO schiaccia i produttori con sconti forzati e margini imposti
Dietro la frutta perfetta sugli scaffali si nasconde un sistema opprimente: sconti obbligatori, contratti capestro e profitti concentrati nella grande distribuzione, mentre le aziende agricole italiane lottano per sopravvivere.
Nel retro di un grande magazzino agricolo, tra bancali carichi, muletti in movimento e cassette vuote accatastate contro le pareti, Carmine ci riceve in un piccolo ufficio dalle pareti spoglie, illuminato da un neon freddo (tutti i nomi dei produttori agricoli in questo articolo sono stati cambiati, e gli indizi che potessero farli identificare cancellati). È il direttore operativo di un gruppo che produce e commercializza ortofrutta. Mentre parliamo, apre un cassetto e ne estrae un grosso faldone, pieno di carte e contratti.
“Qui dentro c’è l’accordo quadro che abbiamo firmato con una grande catena della distribuzione”, dice mentre sfoglia rapidamente le pagine, come se conoscesse a memoria ogni virgola di quelle clausole. Si ferma su una riga evidenziata in giallo: “Vedi? Sconto in fattura del 10 per cento. È nero su bianco”.
Lo dice con un tono che oscilla tra il rassegnato e il lucido. Quella cifra, spiega, è il ristorno: una quota del fatturato che i fornitori agricoli devono restituire alla fine di ogni anno alle insegne della grande distribuzione organizzata (Gdo). Ufficialmente viene giustificato come contributo per volantini, pubblicità, supporto alla logistica o all’apertura di nuovi punti vendita. Ma per chi lavora nel settore, il significato è un altro, molto più crudo : “Quel dieci per cento è il tributo da pagare per lavorare con loro. Per avere spazio sugli scaffali. Se non lo accetti, resti fuori”.
Non è un’eccezione, ma una regola consolidata, che tutti conoscono e nessuno denuncia apertamente. “In media si tratta del 10 per cento, ma ci sono catene che chiedono anche il 12, il 13, fino al 14 per cento. Dipende dalla tua forza negoziale”.
Il ristorno è il margine di guadagno occulto che la Gdo trattiene a fine stagione.
E non è che la punta dell’iceberg. Quello che ci mostra Carmine è il volto nascosto del rapporto tra la grande distribuzione e chi lavora la terra. Un sistema opaco, fatto di sconti imposti, percentuali di scarto decise unilateralmente, contrattazioni digitali al ribasso, consegne a orari impossibili e verifiche pressanti che rischiano di rimandare indietro intere partite di merce per motivi insignificanti .
Il risultato è che le aziende agricole sono allo stremo: i margini di guadagno si assottigliano, i costi aumentano, e in molte zone – anche in quelle dove da sempre si vive di agricoltura – le imprese cominciano a chiudere. Questa inchiesta nasce da mesi di lavoro, decine di interviste raccolte in tutta la pianura padana, soprattutto nel grande distretto ortofrutticolo dell’Emilia-Romagna e del Veneto, in cui ci sono aziende produttrici e cooperative che comprano i prodotti anche da altre parti d’Italia e siglano i contratti con le insegne della distribuzione.
Oggi, in quelle terre un tempo floride, il clima è cambiato. Non solo per le condizioni meteo ormai estreme, ma anche per i conti che non tornano. Alcuni giovani hanno rinunciato a proseguire l’attività delle aziende di famiglia. Altri resistono, ma spesso si trovano davanti a un bivio. “Certe volte ti chiedi se non sia meglio lasciare i frutti sull’albero piuttosto che raccoglierli e rimetterci ”, confida un produttore con quarant’anni sui campi alle spalle.
Tutti parlano sottovoce. Tutti chiedono l’anonimato. Intervistare, in questo contesto, significa prima di tutto ascoltare e rassicurare. La riservatezza è una condizione necessaria. Non è solo paura: è una questione di sopravvivenza. In un sistema dove una semplice email può far perdere un contratto, sollevare troppo la testa equivale a sparire dai giochi.
Gli extra-profitti strutturali
Dietro le cassette di pesche e zucchine perfette, dietro gli scaffali ordinati dei supermercati, si nasconde una realtà fatta di trattative sbilanciate, compromessi imposti, margini tagliati, in cui chi lavora la terra spesso è l’ultimo anello di una catena che distribuisce ricchezza solo verso l’alto.
Di questa contrattazione serrata e a volte spietata non beneficiano neanche i consumatori. Perché il cosiddetto ristorno non va a loro vantaggio. Il prezzo a cui si vende la merce nei supermercati è costruito su un listino nominale, non su quello scontato che il produttore è costretto ad applicare. Chi fa la spesa, insomma, paga come se la distribuzione non avesse ottenuto alcuno sconto. E così il cerchio si chiude. Il produttore, già stremato da costi crescenti e richieste asfissianti, accetta lo sconto pur di non essere escluso dal sistema. Il consumatore, ignaro di queste dinamiche, continua a pagare il prezzo pieno. E in cima la Gdo trattiene un utile netto, che molti nel settore non esitano a definire un “extra-profitto strutturale”, un guadagno sistematico costruito su uno squilibrio di potere.
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Fonte: Internazionale.it