Mauro Rosati, Direttore Fondazione Qualivita: autenticità, educazione e sostenibilità le sfide per il futuro del Turismo DOP
In Italia, l’agricoltura ha da tempo superato la funzione marginale che per decenni l’aveva relegata ai confini dello sviluppo economico. Oggi è diventata una piattaforma strategica sulla quale si sono innestati nel tempo nuovi asset culturali, turistici, paesaggistici e industriali, generando traiettorie di crescita profondamente radicate nei territori.
Questa trasformazione è il risultato di un processo evolutivo stratificato, avviato negli anni ’90 e alimentato da un sistema produttivo, istituzionale e sociale che ha trovato nelle Indicazioni Geografiche (DOP e IGP) un potente motore di valorizzazione delle pratiche agricole tradizionali e dei saperi locali. L’agricoltura della qualità – fondata su produzioni certificate, metodi storici e biodiversità coltivata e allevata con cura – ha trasformato ciò che un tempo era considerato una semplice commodity in una risorsa economica, simbolica e identitaria. Accanto al biologico, e in modo ancor più strutturato attraverso le IG, si è affermato un modello agricolo capace di attrarre non solo consumatori consapevoli, ma anche viaggiatori, artisti, ricercatori, investitori e progettisti del paesaggio.
Editoriale di Mauro Rosati
Direttore Fondazione Qualivita
I fattori distintivi del Made in Italy agroalimentare
Il Made in Italy agroalimentare è il frutto di un sistema complesso e integrato, in cui ambiente, produzione, cultura e istituzioni si intrecciano dando vita a un modello italiano riconosciuto a livello globale (Figura 1). Alla base di questo sistema vi è una straordinaria ricchezza ambientale: una morfologia variegata, un clima temperato e una biodiversità unica al mondo. Su queste fondamenta si è sviluppato un patrimonio produttivo distintivo, nel quale le tecniche tradizionali si fondono con l’innovazione tecnologica e la ricerca, migliorando la qualità dei prodotti e garantendo sostenibilità. Al centro, resta il fattore umano: agricoltori, artigiani e imprese che custodiscono conoscenze e competenze trasformando ogni prodotto in una sintesi di identità, passione e saper fare.
Determinante in questo percorso è stato anche il quadro normativo nazionale ed europeo, che ha fornito strumenti efficaci di protezione, promozione e sviluppo. Le politiche europee della qualità, i regimi DOP, IGP e STG, la Politica Agricola Comune e i programmi di sviluppo rurale hanno creato un contesto stabile e favorevole. A livello nazionale, lo Stato e i Consorzi di tutela hanno operato con visione, consolidando la tracciabilità, la comunicazione e la protezione giuridica delle produzioni certificate, contribuendo a generare valore e fiducia nei consumatori.
Ma la forza del modello italiano non si esaurisce nella sua dimensione economica e normativa. In Italia, il cibo è parte integrante della cul tura: è storia, rito, relazione, territorio. I paesaggi rurali, gli agriturismi, le feste tradizionali, le strade del gusto, i musei del cibo e i numerosi riconoscimenti UNESCO – dalla Dieta Mediterranea all’arte del pizzaiuolo napoletano – raccontano un intreccio profondo tra memoria collettiva, cultura materiale e natura. La cucina italiana, in questo contesto, rappresenta la massima espressione simbolica di questo sistema: semplice e colta, accessibile e complessa, è oggi uno dei più potenti veicoli di narrazione identitaria e attrazione turistica.
Il Made in Italy agroalimentare non è dunque un insieme di prodotti, ma un vero e proprio ecosistema. Un modello che unisce natura, impresa, cultura e istituzioni e che continua a rappresentare un riferimento globale per qualità, sostenibilità e sviluppo territoriale.
Dalla “Dop economy” al “Turismo DOP”
Nel 2003, la Fondazione Qualivita ha istituito il primo Osservatorio socio-economico dedicato alle produzioni DOP e IGP, con l’obiettivo di misurarne l’impatto all’interno del sistema agroalimentare italiano. In un’epoca in cui assegnare un valore economico alle IG sembrava una scommessa, quella visione si è dimostrata lungimirante. Grazie alla collaborazione con ISMEA, è stato possibile costruire una base analitica solida che ha contribuito a rafforzare la reputazione delle IG non solo come eccellenze agricole, ma come veri e propri asset strategici per l’economia nazionale.
Nel 2019, con la definizione del concetto di Dop economy, la Fondazione ha evidenziato come le Indicazioni Geografiche costituiscano una leva strutturale del Made in Italy, capaci di generare valore lungo l’intera filiera e di rafforzare il legame tra prodotto e territorio. Progressivamente, questo valore si è esteso oltre la sfera agroalimentare, entrando con forza nell’ambito turistico, dove le IG hanno assunto il ruolo di simboli identitari e di strumenti di attrazione per viaggiatori in cerca di autenticità.
Questa evoluzione è frutto di una visione sistemica, costruita grazie al lavoro congiunto di Consorzi di tutela, imprese, amministrazioni locali e comunità. Si è passati da un’offerta centrata sul turismo rurale e sull’agriturismo a progettualità più articolate, che integrano marketing territoriale, infrastrutture, formazione, eventi e narrazione, con risultati concreti in termini di ricadute economiche e coesione sociale.
La strategia per l’affermazione del Turismo DOP
In questa traiettoria evolutiva, è stata delineata una strategia nazionale per lo sviluppo del Turismo DOP, fondata su tre pilastri principali.
Il primo riguarda il riconoscimento istituzionale. Durante il processo di riforma del Regolamento europeo sulle Indicazioni Geografiche, Qualivita ha proposto – in collaborazione con Origin Italia – l’introduzione della funzione turistica tra le competenze ufficiali dei Consorzi di tutela. Una proposta nata dall’ascolto del territorio e dalla crescente consapevolezza del ruolo strategico del turismo nella valorizzazione delle IG.
Il secondo pilastro è la creazione dell’Osservatorio Turismo DOP, modellato sull’esperienza dell’Osservatorio economico DOP IGP. Il suo obiettivo è quello di mappare, misurare e qualificare le attività turistiche legate alle IG, individuando aree di analisi che consentano di comprendere il fenomeno nella sua articolazione e di valutarne l’impatto sullo sviluppo locale e sulla competitività del Made in Italy.
Il terzo elemento è la formalizzazione di un nuovo concetto, attraverso l’introduzione del termine Turismo DOP. Un neologismo che consente di definire con precisione l’insieme delle attività turistiche collegate alle IG, rafforzandone l’identità e rendendo più efficace la comunicazione a livello nazionale ed europeo.
Cosa non è il Turismo DOP
Negli ultimi anni, il turismo enogastronomico è diventato una categoria molto ampia, che comprende esperienze diversificate, spesso legate semplicemente al consumo di cibo o vino in contesti territoriali. Tuttavia, non tutte queste esperienze rispondono ai criteri di autenticità e coerenza che contraddistinguono il Turismo DOP.
Visitare una cantina o un frantoio e partecipare a una degustazione senza alcuna connessione con le filiere DOP IGP, prendere parte a eventi enogastronomici generici nati solo per attrarre visitatori: tutte queste pratiche, per quanto diffuse, non rientrano nel perimetro del Turismo DOP.
Ciò che definisce questo modello, infatti, non è solo il riferimento al cibo e al vino, ma la presenza concreta e attiva di una filiera certificata, di un Consorzio di tutela, di un disciplinare di produzione riconosciuto dall’Unione Europea. Il Turismo DOP non nasce dall’iniziativa commerciale di un singolo operatore, ma da un sistema collettivo che garantisce qualità, identità e legame con il territorio.
È un turismo che si muove lungo la filiera del prodotto, che educa il visitatore, che racconta un’origine e un metodo, che valorizza un luogo non solo per la sua bellezza, ma per la sua funzione produttiva e culturale.
Cos’è il Turismo DOP
Queste considerazioni delineano il Turismo DOP come un segmento specifico e strutturato del turismo enogastronomico, centrato esclusivamente sui prodotti a Indicazione Geografica e sulle esperienze sviluppate dai Consorzi di tutela e dalle imprese della filiera certificata.
Non si limita alla ristorazione o alla degustazione, ma promuove esperienze autentiche ad alto valore educativo e culturale, mirate a far conoscere le specificità storiche, produttive, ambientali e sociali delle IG. Tutto ciò contribuisce a rafforzarne la reputazione e il valore percepito.
A differenza del turismo enogastronomico generico – spesso destrutturato e guidato da logiche di mercato non regolamentate – il Turismo DOP è tracciabile, coerente con il sistema normativo europeo e integrato nella filiera agroalimentare certificata. Ogni attività è progettata per raccontare il territorio, rafforzare l’identità locale e garantire al turista un’esperienza trasparente, informata e significativa.
Le sfide del Turismo DOP:
autenticità, educazione, sostenibilità
Il modello del Turismo DOP si fonda su tre principi fondamentali (Figura 2). Il primo è l’autenticità, da tutelare attentamente per evitare banalizzazioni o derive che possano compromettere il prestigio delle IG. Il secondo è l’educazione, intesa come promozione della consapevolezza culturale e della conoscenza dei processi produttivi, storici e territoriali. Il terzo è la sostenibilità, economica, sociale e ambientale, per garantire uno sviluppo armonico che generi valore senza compromettere le risorse naturali o sociali.
In quest’ottica, la prevenzione dell’overtourism e la qualità dell’esperienza diventano priorità imprescindibili. Affinché il Turismo DOP continui a rappresentare un’opportunità concreta di crescita e rigenerazione dei territori, è necessario adottare strategie responsabili, capaci di bilanciare valorizzazione e tutela del patrimonio agroalimentare italiano.
La filiera multifunzionale:
un modello di economia circolare culturale
L’evoluzione delle Indicazioni Geografiche in Europa testimonia una trasformazione profonda: concepite inizialmente dal legislatore come semplici strumenti di tutela giuridica e, al più, di valorizzazione del prodotto, si sono progressivamente affermate come vere e proprie leve di sviluppo territoriale.
In Italia, in particolare, si osserva come il valore generato dalle IG – un tempo circoscritto alle imprese della filiera produttiva – si sia esteso nel tempo all’intero ecosistema locale, contribuendo a creare benessere diffuso, nuove opportunità economiche e forme innovative di fruizione del paesaggio e del territorio.
L’affermazione di prodotti DOP e IGP riconosciuti e blasonati sul mercato ha inoltre permesso di trasferire, attraverso l’azione delle imprese, una conoscenza più ampia delle dimensioni culturali e ambientali del setto re primario italiano. Un effetto amplificato dalla forza del modello produttivo associato, in cui i Consorzi di tutela svolgono un ruolo centrale nel generare valore condiviso e nel promuovere progetti capaci di restituire benefici concreti alle comunità locali, soprattutto nell’ambito della promozione turistica e della valorizzazione culturale.
Nasce così una filiera multifunzionale, in cui le Indicazioni Geografiche diventano il perno di un modello di sviluppo che può essere definito come economia circolare culturale: un sistema in cui il cibo non è soltanto un prodotto, ma anche racconto, esperienza, relazione. Una leva potente per costruire percorsi di sviluppo sostenibile, inclusivi e fortemente identitari.
Le IG: un ruolo da pivot per un sistema territoriale interconnesso
Il Turismo DOP nasce con l’ambizione di valorizzare quella dimensione culturale del “chilometro zero” del Made in Italy che connette i territori con i visitatori, trasformando l’esperienza del cibo in un racconto autentico, condiviso e immersivo. Ma per farlo davvero, serve una regia centrale capace di costruire un sistema a rete, dove ogni attore – pubblico e privato – contribuisca a generare valore, rafforzando l’identità dei luoghi.
Le Indicazioni Geografiche svolgono, in questo contesto, un ruolo pivotale: rappresentano il punto di connessione tra le molteplici sfaccettature dell’agricoltura italiana – dalla qualità del prodotto alla tutela del paesaggio, dal sapere artigiano alla cultura delle comunità rurali. Sono il perno attorno al quale è possibile costruire un sistema coerente, in cui si mettono a frutto relazioni strategiche e sinergie territoriali.
Questa visione si traduce in un approccio che supera la narrazione simbolica o frammentata. Un parco naturale può rafforzare il valore di un prodotto IG, così come un prodotto IG può aumentare la notorietà e l’attrattività del parco. Queste connessioni devono diventare strutturali: un paesaggio rurale tutelato, ad esempio, dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti un elemento costitutivo e identitario della denominazione. La formazione del personale che racconta questi territori, poi, non può prescindere da un progetto di comunità educativa, in cui si riconosca la dimensione civica e culturale del cibo e del territorio.
In questa prospettiva, il Turismo DOP non è solo un’opportunità economica, ma un modello di sviluppo integrato, capace di rafforzare il tessuto sociale e culturale dei territori italiani. Il nostro auspicio, attraverso questo Rapporto, è proprio quello di restituire una fotografia evoluta di una realtà già in cammino, ma che – se orientata da una visione strategica chiara e condivisa – può produrre benefici ancora più estesi, profondi e duraturi.
A cura della redazione
Fonte: Consortium 27 / N° 02/2025