Riccardo Deserti, presidente di orIGin: le produzioni di qualità, un asset del piano Mattei, siamo la globalizzazione buona. Le IG legate alla domanda estera, ma non delocalizzano.
Chi produce cibo di qualità può trarne più valore grazie al turismo. Perché le Indicazioni geografiche (IG) sono un forte attrattore. Non solo: sono una globalizzazione “buona”, perché sfrutta la domanda dei mercati mondializzati, ma non delocalizza. Cioè, non sposta le produzioni in aree dove farle costa meno.
All’indomani della presentazione, a Bruxelles, della survey 2025, il presidente di oriGIn (l’associazione per un network mondiale delle IG), Riccardo Deserti, affronta con ItaliaOggi il tema della potenza delle indicazioni geografiche. Ormai divenute leva del Piano Mattei e strumento di resistenza economica dei territori.
Domanda. Qual è l’obiettivo della survey presentata a Bruxelles da oriGIn?
Risposta. Il monitoraggio del panel IG trend è iniziato quattro anni fa; serve per misurare nel tempo e rendere tangibile lo sviluppo economico delle Indicazioni geografiche. Il suo obiettivo è portare a livello globale la Dop economy. Ma occorreva un metodo, perché a livello mondiale è complesso trasferire il modello delle denominazioni d’origine; per questo abbiamo creato un panel con 28 IG e non fanno parte solo le più grandi. Ci sono 17 paesi, rappresentativi di tutti i continenti. E tutti i settori: vino, spirits, prodotti artigianali e food. Lo scopo è avere un sondaggio sul valore percepito dei consorzi. E i numeri parlano: queste 28 IG generano 75 mld di euro di fatturato complessivo (seppure in calo rispetto ai 79 mld del 2023) e un export totale per 58 mld. In sostanza, il 78% della loro produzione va all’estero. Sono numeri da grande multinazionale, ma le IG non sono una multinazionale: sono tanti piccoli produttori che riescono a stare sul mercato globale.
D. Le ricadute sul lavoro?
R. I 28 consorzi contano assieme 586mila addetti. Ma c’è un dato altrettanto interessante: la somma delle zone di origine, cioè delle aree in cui, nel bene e nel male, questi prodotti sono artefici di politiche territoriali, conta 930mila kmq, cioè tre volte l’Italia.
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Fonte: Italia Oggi