La Commissione europea nel fine settimana ha dato il via libera al decreto sull’origine della materia prima dei prodotti caseari, sostenuto dal Ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina, e sponsorizzato dagli allevatori italiani. Il testo dovrebbe essere pubblicato nel giro di una settimana in Gazzetta Ufficiale, e da quel momento, passati 60 giorni, sarà legge. Cosa significa questo? Che dopo la Francia anche l’Italia potrà utilizzare per un periodo sperimentale di due anni (2017-2018) l’indicazione geografica obbligatoria per il latte Uht (per quello fresco l’obbligo già c’è) e per i prodotti lattiero caseari e in etichetta troveremo tre diciture differenti: il “Paese di mungitura”, il “Paese di condizionamento” seguita dal nome dello Stato in cui è stato condizionato il latte e infine il nome del “Paese di trasformazione”.
Quanto è importante questa prospettiva? Molto, se si pensa che nel nostro Paese mangiamo la bellezza di 20,7 kg di formaggi a testa all’anno, tanto che da sempre occupiamo a pieno titolo un posto nella top-ten mondiale degli amanti di prodotti lattiero caseario. Una passione che ci fa spendere 20 miliardi all’anno, senza la possibilità di scegliere cosa acquistare in modo consapevole. Infatti, anche se siamo i primi nella produzione di leccornie legate al territorio, con 487 diversi tipi di formaggi tradizionali e 50 referenze tra DOP e IGP, importiamo fiumi di materia prima straniera: 85 milioni di quintali tra latte, concentrati, cagliate, semilavorati e polveri. Si tratta di più del 40% di quanto viene consumato e utilizzato dall’industria di trasformazione che una volta arrivato sugli scaffali dei supermercati o negli stabilimenti delle aziende di trasformazione italiane si confonde con il vero Made in Italy.
Chi ci guadagnerà di più, oltre ai consumatori, saranno gli allevatori italiani che oggi vendono il loro latte alla stalla, fuori dai normali contratti di fornitura, a cifre che possono oscillare dai 24 centesimi al litro, come è accaduto ad aprile scorso, ai 41 al litro di inizio settembre. In questo modo saranno meno facilmente “ricattabili” dall’industria lattiero casearia italiana. Così, secondo Coldiretti, questo provvedimento può salvare 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte e il pesante fatturato di questo settore agroalimentare che, tra consumi interni ed esportazioni, vale 28 miliardi di euro, compresi i 2,3 miliardi del Made in Italy venduto sui mercati esteri, in crescita nell’ultimo anno del +5%.
La norma riguarda solo le aziende italiane che vendono sul nostro mercato, per cui per adesso l’etichetta trasparente non sarà proprio su tutti i prodotti in vendita. L’ok dato dalla Commissione europea al ministro Martina, attraverso il meccanismo del silenzio/ assenso, è vincolato a una condizione: che l’obbligo dell’etichettatura recante l’origine valga solo “per le aziende italiane e per la produzione delle medesime destinate al mercato interno (sono esentate da quest’obbligo quindi le aziende di altri Stati Membri e di Paesi Terzi che esportano in Italia e i prodotti che le aziende italiane destinano all’export)”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano