Dal campo al vassoio, non un semplice slogan, ma il modo “in cui noi interpretiamo la filiera agroalimentare lunga, che non si esaurisce con il consumo del pasto, ma prosegue con il riciclo”, a dirlo è Dario Baroni, amministratore delegato di McDonald’s Italia, durante la presentazione del nuovo progetto tra la catena di fast food più famosa al mondo e Parmigiano Reggiano.

L’impegno di McDonald’s con la filiera agroalimentare italiana non si conclude con Parmigiano Reggiano DOP e, oltre all’obiettivo di raggiungere standard più elevati con i propri prodotti, il colosso americano vuole anche contribuire alla sostenibilità ambientale: “In questi ultimi anni abbiamo attivato collaborazioni con consorzi che forniscono prodotti DOP e IGP, come la cipolla di Tropea o l’aceto balsamico – dice Baroni –. Questi processi comportano tre vantaggi. Per prima cosa, l’utilizzo di materie prime di qualità aumenta la bontà dei nostri panini. In secondo luogo, ci permette di fare sistema con la catena agroalimentare italiana. E, infine, accorciando la filiera impattiamo meno a livello ambientale, tanto che, dal 35% di prodotti made in Italy utilizzati, siamo passati all’85%”.

Il cambio di marcia da parte di McDonald’s ha aperto nuove strade anche a un prodotto che è un simbolo della cultura gastronomica italiana: “Il progetto fece discutere tanto nel 2008, perché McDonald’s era visto come l’emblema del junk food, mentre il nostro formaggio si rivolgeva all’alta ristorazione – racconta Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano DOP –. L’idea, però, fu visionaria, perché entrare in contatto con il milione di clienti al giorno di McDonald’s Italia è un’opportunità straordinaria. Molti di loro sono giovani, perciò questa operazione diventa una possibilità per comunicare con la Generazione Z e i Millennials“.Dello stesso avviso è Mauro Rosati, direttore generale di Fondazione Qualivita, al fianco di McDonald’s e Parmigiano Reggiano fin dall’inizio del progetto: “L’obiettivo era supportare le filiere italiane, composte da tantissime piccole imprese che non sempre hanno capacità di dialogo con i grandi player della distribuzione. Questa collaborazione ha rappresentato una rivoluzione e oggi siamo sempre più convinti che la cultura alimentare del nostro Paese sia alla base della transizione verde”.

Fonte: Corriere l’Economia