Toscana: tanti prodotti ma poca promozione per il cibo. Qualivita: «Si impari dal vino».
Prodotti agroalimentari DOP e IGP made in Tuscany, esclusi i vini, avrebbero un’enorme potenzialità in termini economici. Ma pagano lo scotto della diffusa incapacità di valorizzarli per assenza dei consorzi di tutela. Le uniche eccezioni sono quelle dell’olio extravergine IGP Toscano e del Pecorino Toscano DOP. Come a dire che il tradizionale individualismo imprenditoriale di questa regione, tarpa le ali a un comparto molto remunerativo come quello delle indicazioni geografiche. Che non a caso in Italia- secondo l’analisi fatta dalla Fondazione Qualivita di Siena- nel 2019 hanno raggiunto la soglia dei 7,6 miliardi di euro di valore alla produzione (+5, 7 per cento sul 2018), con 15,3 miliardi di vendite al consumo (+ 6,4 per cento). E un export che ha sfiorato i 4 miliardi ( + 7 per cento).
La Toscana, così, con 16 prodotti alimentari DOP e i 15 IGP, nel 2019 si trovava solo al 9° posto nella graduatoria delle regioni Italiane (5° per numero di denominazioni). Con un valore al consumo di 152 milioni di euro ( + 5,7 per cento). A una distanza siderale per impatto economico da Emilia-Romagna, Lombardia, Campania, Veneto, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Sardegna.
«In Toscana gli unici consorzi effettivi sono quelli di olio e pecorino, denominazioni che ottengono buoni risultati – spiega Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita Con le produzioni agroalimentari bisognerebbe riuscire a fare quello che negli anni scorsi sono stato in grado di raggiungere i consorzi di tutela del vino. Purtroppo, i brand toscani che sulla carta avrebbero più forza di molte altre specialità regionali, non riescono nemmeno lontanamente a raggiungere i numeri Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma odi San Daniele, Mozzarella di bufala campana. Solo per fare qualche esempio».
A frenare il decollo di molte denominazioni DOP e IGP, la mancanza di professionalità rispetto a promozione, ricerca fondi e commercializzazione. «È una questione annosa continua Rosati – che attiene soprattutto alla mentalità imprenditoriale di chi gestisce le aziende. Che non accetta la logica della collaborazione e condivisione degli obiettivi. Perpetrando di fatto la logica di una micro imprenditorialità parcellizzata, che non consente di fare massa critica e accedere ai mercati internazionali. Che garantirebbero prezzi più alti e quindi una remunerazione migliore dei prodotti. Su questo fronte – conclude il direttore di Qualivita – ritengo la politica dovrebbe incentivare di più e meglio la costituzione di consorzi fra produttori. Che peraltro non possono essere obbligati a mettersi insieme, se non lo vogliono».
Fonte: Il Tirreno