La Cucina Italiana: la candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità, il ruolo dei locali nelle città, le regole per i dehors e giudizi online. Parla Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe

Cibo e cultura è un binomio che da sempre è presente nel Dna del nostro Paese. Una dimensione parallela e complementare a quella rappresentata da musei, chiese e monumenti per raccontare la nostra storia. A inizio dicembre questo legame potrebbe anche essere sancito dall’Unesco perché La Cucina Italiana” è candidata a essere riconosciuta come uno dei patrimoni immateriali dell’umanità, al pari della dieta Washoku giapponese o dello street food di Singapore, solo per fare due esempi.

«Il cibo è il secondo motivo per cui i turisti stranieri vengono in Italia, ed è il primo motivo per cui tornano», dice con un certo orgoglio il presidente della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) Lino Enrico Stoppani. Sono i prodotti nostrani, ma anche il modo di lavorarli a essere considerati un’eccellenza mondiale.

«A parlarne troppo prima della sentenza – scherza Stoppani – si rischia di portar male a un progetto importante. Dietro questi riconoscimenti, si rafforza il brand di tutto il Paese. Da tempo, infatti, il cibo e la cucina sono considerati strumenti di soft power. Pensiamo solo all’importanza che per gli Usa hanno avuto marchi come Me Donald’s o Coca Cola a livello di influenza culturale, diventando strumenti di marketing e comunicazione».

Qualità e varietà delle materie prime sono le parole d’ordine. «La storia della Penisola è stata segnata da tantissime dominazioni e popoli che sono arrivati qui. E hanno influenzato e stratificato il nostro modo di mangiare. Per questo abbiamo tantissime cucine regionali che spesso hanno tratto forza dai problemi che l’Italia ha avuto. Per esempio, tanti piatti, oggi stellati, hanno avuto origine dagli avanzi del giorno prima. C’era semplicemente la necessità di combattere lo spreco».

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Fonte: L’Espresso