Nel nostro Paese i costi di produzione degli allevamenti suinicoli sono più alti del 20 % rispetto ai principali Paesi europei. Il gap italiano dei costi potrebbe venire ridotto «incrementando la distintività dei prodotti DOP, da un lato, e ampliando nuovi segmenti di mercato come il suino intermedio e le filiere maggiormente attente al benessere, dall’altro». Sono le strategie indicate da Kees De Roest, responsabile del settore economia e mezzi tecnici del Crpa, che commenta i dati emersi nell’ambito della consueta analisi economica del settore svolta annualmente dal Centro ricerche produzioni animali.
Nel 2014 l’Italia ha registrato un calo della produzione suina, calo che riguarda anche il suino pesante DOP (-1,3%), a testimonianza della flessione del numero di scrofe nel circuito tutelato (i capi sono passati da 567mila nel 2010 a 465mila del 2014). Le stesse macellazioni di suini provenienti dal circuito tutelato hanno vissuto una diminuzione del 10%.
«A bilancio del calo di capi immessi nel circuito DOP», ha riferito il tecnico, «è cresciuta invece la quota di suini allevati al di fuori dei vincoli dei disciplinari (da 636.300 nel 2013 i capi sono diventati 751.700 nel 2014). Nel 2015 le importazioni di suini vivi sotto i 50 kg sono cresciute del 27% e i suini di peso superiore a 50 kg hanno segnato +18%. Tra le conseguenze di questa performance, abbiamo una riduzione dell’export della materia prima non lavorata e un aumento delle importazioni di carni fresche e congelate. Nel 2014 ne abbiamo importate 1,01 milioni di tonnellate (+8 %); solo le cosce hanno toccato un import pari a 587mila tonnellate».
Fonte: Prima Pagina