Magari non ce ne rendiamo conto: ogni prodotto che quotidianamente, senza pensarci troppo, mettiamo sulla nostra tavola, in moltissimi paesi esteri è un must, un lusso, un piccolo tesoro che rispecchia appieno il significato e la forza del brand Made in Italy i margini di crescita del nostro export alimentare sono ampi e le prospettive ottimistiche. Ma tutto, ancora una volta, pare dipendere dalla capacità degli italiani di unirsi, consorziarsi e promuoversi al meglio.
Le statistiche ufficiali: i consuntivi 2014 Istat dicono che la nuova soglia dell’export agroalimentare ha raggiunto quota 34,3 miliardi di curo e alla fine di quest’anno possiamo arrivare a 37. Secondo le analisi SACE, per il 2020 possiamo aumentare decisamente fiero a toccare la soglia dei 50 miliardi l’anno. Ci sono ancora spazi ed ampi margini di crescita, quindi, aperti anche e soprattutto ai piccoli produttori della bontà italiana, poiché più che mai saranno richiesti per loro unicità, grazie alla straordinaria ricchezza dei diversi territori, come succede già con gli apprezzatissimi vini provenienti cia micro-aree e dai vitigni autoctoni.
L’azione oggi si svolge piuttosto verso i mercati extra UE, che presentano rin incremento più forte rispetto all’area europea. Ma ogni mercato ha le sue peculiarità: il margine di crescita dipende ovviamente dal prodotto e dall’area geografica. Gli economisti SACE hanno indicato con un indice di 1.712, la Gran Bretagna con il mercato con il maggior potenziale di crescita per l’insieme (dei prodotti alimentari italiani, a seguire la Germania cori 1.122, gli Stati Uniti con 964, la Francia con 910, il Canada con 450, l’Olanda con 359, il Giappone con 339, la Russia con 312, la Spagna con 245.
Fonte: Hint Magazin