E’ un altro paradosso francese. I nostri cugini d’Oltralpe adorano i formaggi di capra, in effetti squisiti e quasi tutti certificati con il marchio AOP (Appéllation d’origine protegé, equivalente della DOP italiana), ma non riescono a mangiarne quanti ne vorrebbero (solo 2,2 kg all’anno, un decimo del consumo dei formaggi vaccini) per la semplicissima ragione che non c’è latte di capra sufficiente. Stando ai dati del Consorzio Aop quest’anno, che pure si considera un anno record, s’è raccolto poco meno di 500milioni di litri di latte caprino, una percentuale quasi residuale rispetto alla superproduzione di latte vaccino che è alla base come si sa, della crisi della «filiére lactière» e delle tensioni sul livello di prezzo (attestato intorno ai 27 centesimi al litro).
Di latte di capra, invece, ce ne vorrebbe molto di più sia per coprire la domanda interna sia quella dei paesi esteri, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti soprattutto, dove le diverse marche dei caprini a denominazione d’origine (14 DOP) sono l’immagine dell’eccellenza agroalimentare francese, oltre che una poderosa leva commerciale come spiega con soddisfazione a ItaliaOggi Frédérie Boeuf produttore di caprini e presidente del Consorzio di tutela.
Ma la soddisfazione di Bceuf e di tanti altri produttori si scontra con la preoccupante mancanza di materia prima che manca per una ragione molto semplice: perché l’allevamento è molto più difficile, pochi giovani hanno voglia di fare i «caprai» e la raccolta del latte (almeno due volte al giorno per animale) non può essere automatizzata come avviene nelle gigantesche stalle industriali delle vacche. Deve essere fatta a mano. Da qui l’abbandono degli allevamenti man mano che i caprai invecchiano. Solo nella regione della Loira, ad alta concentrazione caprina come la Charente e il Vienne, quella che può contare ben cinque delle 14 denominazioni d’origine l’anno scorso la filiera ha perso il 15% dei suoi addetti. Bisognerebbe convincere i giovani, ma come?
Fonte: Italia Oggi