Con i dazi crescono i timori di un calo delle vendite negli USA e per l’erosione della marginalità per le aziende del made in Italy.
Costi aggiuntivi, margini sotto pressione, difficoltà nel fissare i listini e nel finalizzare i contratti con gli importatori. Questi i problemi più comuni per le aziende del largo consumo confezionato food e non food made in Italy che vendono negli States.
I dazi voluti da Trump, dovrebbero entrare in vigore mercoledì prossimo, potrebbero costare all’export tricolore tra i 500 milioni e i 3,3 miliardi rivela uno studio Centromarca-Nomisma. I dazi al 10% faranno calare le esportazioni di 489 milioni, con una aliquota del 20% si supererà di poco il miliardo. Al 30% si passa a 1,7 miliardi, al 40% 2,5 miliardi per finire con i dazi al 50% con una perdita di oltre 3,3 miliardi.
A peggiorare il quadro commerciale verso gli Usa è il cambio con la banconota verde perché nella prima parte dell’anno l’euro si è apprezzato dell’11%. Un’ulteriore problema nel preparare i listini di vendita perché gli importatori chiedono ai produttori di farsi carico di una parte degli aumenti.
«L’incertezza sull’applicazione dei dazi preoccupa le nostre industrie, sia sul piano economico sia perché non consente un’adeguata pianificazione strategica e nella contrattazione con i buyer statunitensi – rimarca Vittorio Cino, direttore generale Centromarca -. È una criticità da non sottovalutare se si considera la rilevanza del mercato d’oltreoceano per i beni alimentari e non alimentari prodotti in Italia».
Lo scorso anno le esportazioni verso gli Usa di prodotti del largo consumo made in Italy hanno generato un giro d’affari di 9,9 miliardi, con un +161% rispetto al 2014 e un’incidenza dell’11% sull’export totale del settore. Significativa l’impennata del valore nel primo quadrimestre quando, a valore, l’export verso gli Usa ha messo a segno un secco +14%.
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Fonte: Il Sole 24 Ore