Giovedì la presidente della Commissione incontra Xi Jinping mentre i dazi USA minacciano l’export europeo. L’Ue valuta ritorsioni, ma Berlino frena. Il ministro USA Bessent: «La qualità degli accordi vale più della scadenza»

Un orecchio a Washington e un occhio a Pechino: la trattativa con gli Stati Uniti, per disinnescare i dazi del 30%, che scatterebbero dal 1° agosto, non sta producendo risultati e l’Unione Europea è costretta a valutare misure di ritorsione che finora non ha voluto adottare; al tempo stesso, prova a fissare paletti e nuovi punti di incontro con l’altra superpotenza, la Cina, dove la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, incontrerà Xi Jinping, giovedì.

Sul fronte occidentale, quello con gli Stati Uniti, la situazione è ferma all’esito, negativo, della visita del commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, a Washington, la settimana scorsa. Non solo sembra sfumare l’ipotesi di un dazio “limitato” al 10%, ma l’Amministrazione Usa ha alzato l’asticella, affermando che anche in caso di un accordo (che scongiurerebbe il 30%), le tariffe verrebbero fissate al 15-20%. Sembra minima anche la possibilità di abbassare quelle in vigore sull’auto (25%) e su acciaio e alluminio (50%).

La linea di Washington rafforza il fronte interno ai Ventisette che, con Emmanuel Macron, vorrebbe un atteggiamento meno remissivo da parte della Commissione, anche facendo ricorso al meccanismo anticoercizione, che permetterebbe di fare molte cose: colpire i servizi digitali dei colossi statunitensi e le loro entrate, restringere l’accesso ai mercati dei servizi finanziari e alle gare d’appalto pubbliche, limitare gli investimenti e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, porre paletti alla vendita di prodotti chimici o alimentari in Europa. Resta cauta la posizione della Germania, il Paese che più ha da perdere in uno scontro aperto.

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Fonte: Il Sole 24 Ore