Dazi USA, dall’Ice, a Confindustria, all’Upb: dall’agroalimentare a meccanica, farmaceutica, moda e occhialeria, conseguenze sull’intero indotto, con ricadute anche sul piano occupazionale
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha lanciato il guanto di sfida e ha minacciato a partire da agosto dazi al 30% sulle importazioni provenienti dall’Europa.
Le trattative tra le due parti, con l’Ue impegnata a ridurre la portata delle barriere commerciali, anche ventilando l’ipotesi di ricorrere lei stessa alla carta dei dazi, fervono frenetiche. La minaccia di Trump, ricorda l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, si inserisce nella corsa ai dazi che lui stesso ha inaugurato con il suo secondo mandato. A partire da aprile, i dazi medi sulle importazioni da tutto il mondo negli Usa sono passati dal 2,3% all’8,8%. Per l’Ue questo si è già tradotto in un aumento medio dall’1,3% al 6,7%.
Tra i paesi Ue, l’Italia è uno dei più penalizzati, con un dazio medio già salito all’8%, contro l’11% della Germania e il 6,4% della Francia. Senza dimenticare che l’impatto per le imprese europee e italiane è ancora più considerevole in quanto a causa di una variabile, il deprezzamento del dollaro sull’euro (-13% dall’inizio del secondo mandato di Trump), le esportazioni europee sono risultate ancora più care nel mercato Usa: una sorta di “dazio implicito” che già oggi implica una perdita cumulata fino al 21% per gli esportatori italiani rispetto al periodo pre-Trump.
Il fatto che all’orizzonte si delinei una percentuale del 30%, salvo il raggiungimento di un’intesa su una percentuale inferiore entro agosto, non aiuta a ben sperare. «È troppo importante arrivare a un ragionevole compromesso» sui dazi, ha sottolineato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. «Bisogna negoziare senza stancarsi, senza cedere di nemmeno un centimetro». La soglia del 10%, ha aggiunto, «era ragionevole, non si può andare molto lontano da questo numero, altrimenti diventa insostenibile».
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Fonte: Il Sole 24 Ore