La Repubblica

Da sempre Chianti è sinonimo di vino. Soprattutto all’estero. Un nome evocativo, e spesso anche abusato. Un marchio del made in Italy. Ma dietro questa semplice parola Chianti – in realtà si nasconde un mondo complesso e articolato, la parcellizzazione del territorio in tante denominazioni, un intreccio di diversità che rendono difficile districarsi all’interno dell’affollatissima offerta di etichette. Che non sono tutte uguali, ovviamente. Si va dall’eccellenza al commerciale con una certa scioltezza. Ma Chianti è anche territorio. Luoghi che vivono in simbiosi con il loro vino

, capaci di attrarre turisti e di unire la bellezza del paesaggio al piacere di un buon rosso. È il Chiantishire, terra ospitale e vera, come è vero il suo Chianti, che ancora oggi è uno dei punti di forza dell’industria agro-alimentare, e porta in giro per il mondo il marchio Toscana visto che circa l’80% della produzione viene venduto all’estero, come dimostrano i dati forniti dal Consorzio del vino Chianti Classico DOP, quello del Gallo Nero. Da non confondere (ci tengono) con il Consorzio del vino Chianti DOP. Questi due nomi, infatti, rappresentano due Docg, con territorio di produzione, storia e consorzi distinti e separati. Una differenza, però, non sempre facile da spiegare (e comprendere ). Poi ci sono anche le sottozone con altrettanti consorzi, dal Chianti Rufina ai Colli Fiorentini solo per fare due nomi. L’unica cosa che li unisce è la passione. Ma il Chianti è anche terra di grandi Igt e di aziende che per scelta sono fuori dai consorzi, però producono rossi straordinari.

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