Avvenire Milano

Passata le abbuffate e le libagioni augurali si apre per il mondo del vino un periodo di riflessione su quello che è stato il 2013. Sarà dall’esame di una stagione segnata da luci ed ombre tanto in Lombardia quanto nel resto del Paese che bisognerà partire per progettare un futuro che ognuno si augura migliore. Non che il 2013 sia andato male nel complesso. Anche i nostri vignaioli e le nostre cantine sociali – dall’Oltrepò alla Valtellina – hanno beneficiato dei livelli record raggiunti dall’export enoico nazionale, 5,1 miliardi di euro, una somma colossale pari ad un sesto del valore di tutte le esportazioni dell’agroalimentare made in Italy. Un altro dato induce ad un cauto ottimismo: il fatturato.

Nonostante il perdurare di una crisi che si avvita su se stessa senza fine, il fatturato delle imprese del vino ha segnato negli ultimi tre mesi una crescita del 3 per cento. Poco? Con i tempi che corrono… Certo è che i problemi rimangono. Lì toccano con mano ogni giorno i titolari e gli operatori delle 11imila aziende lombarde del vino, spesso piccole o piccolissime, a conduzione familiare, schiacciate da una burocrazia famelica e insensata, in difficoltà a restare su un mercato dove sgomitano i colossi e dove la grande distribuzione organizzata fa il bello e il cattivo tempo e condiziona la politica dei prezzi. La gdo muove il 70 per cento del vino del mercato interno, e fino a quando il consumatore non imparerà ad accedere direttamente alla cantina tu hai voglia a fare un vino di nicchia e a fregiarti della doc, a condurre il gioco saranno sempre le catene dei supermercati. A proposito di doc, che in Lombardia sono 22, più 5 docg, più 15 igt: non è che per caso è arrivato il momento di semplificare? In Piemonte, che ne ha 66, a proporre di scendere a 23 è lo stesso Andrea Desana, figlio del mitico senatore Paolo, il politico che 50 anni fa volle la legge sulle denominazioni. Il dibattito è aperto, vedremo se a quella legge si dovrà fare un tagliando. Una denominazione non è una medaglia, non deve creare abbagli per il destinatario del prodotto: quello che conta è la qualità e l’esaltazione dell’indicazione territoriale. C’è un vino lombardo che in queste settimane viene proposto da alami spot televisivi. È la Bonarda, come dire l’essenza stessa dell’Oltrepò enologico, un rosso che basta il nome.

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