C’è una cosa che a Natale non cambia e sono i dolci: ogni regione o città italiana ha la sua tradizione e pur accettandone infinite varianti (basti pensare ai panettoni al pistacchio o ai fichi) vi rimane fedele.
Due le grandi scuole di pensiero al Nord: panettone e pandoro. La prima, milanese, diventata il simbolo del Natale italiano, è l’epopea del Pan di Toni (se si accetta la versione del povero garzone di pasticceria di nome Toni che ai tempi di Ludovico il Moro avrebbe inventato la delizia meneghina). La seconda, veronese, è quella di un dolce nato nell’800 forse con influenze austriache e che oggi ha grande successo anche perché non ha canditi e uvetta, cose che molti bambini non amano nel rivale panettone.
Però attenzione pur essendo nato a Verona non è che il pandoro faccia impazzire i veronesi: per loro il “vero” dolce natalizio è il Nadalin, più o meno con lo stesso impasto, ma più basso e non a forma di stella. Questo risalirebbe addirittura ai tempi di Plinio il Vecchio: non c’è da stupirsi perché in realtà molti dolci natalizi a base di farina e miele affondano le radici nei riti pagani poi “rielaborati” dalla religione cristiana. E’ ad esempio il caso delle carteddate pugliesi, un dolce fatto di una sottile sfoglia che si intreccia a canestro (di qui il nome) per contenere miele e o vin cotto di fichi. Secondo alcuni esisteva già nell’antica Roma perché lo si donava proprio nei riti di passaggio da una stagio ne all’altra a Demetra dea delle terra. Così come ai tempi della Magna Grecia (nome che non ha riferimento col mangiare, ma con le colonie che facevano “grande” la Grecia nel Sud Italia) risalgono gli struffoli napoletani.
In altre regioni del Sud vengono chiamati cicerchiata o cicerata, perché assomigliano a ceci. Si tratta infatti di piccole palline di pasta fritte e poi ricoperte di miele. Se da Napoli scendiamo fino a Palermo, Natale è il tempo di buccellato (una sfoglia ripiena di fichi secchi), di mostaccioli (che sono biscotti con il mosto d’uva diffusi in varie zone del Sud) e della cubaita che è un torrone, con sesamo e miele, le cui origini sembrano arabe.
Dall’Arabia arrivavano anche le spezie che ritroviamo in dolci natalizi come Certosino o pan speziale di Bologna, il panforte di Siena o il panpepato di Ferrara, i primi due nati intorno all’Anno Mille il secondo nel Rinascimento. E c’è chi sostiene anche il pandolce genovese, sarebbe nato a fine ‘500, grazie a un concorso di pasticceria lanciato da Andrea Doria, per un prodotto che si potesse consumare sulle navi e quindi in grado di durare a lungo (l’ultima fetta si mangia a San Biagio, che è il 3 di febbraio). Decisamente più giovane è Invece il Parrozzo abruzzese, che nasce nel 1920 (ispirandosi a un pane contadino fatto di mais) e che viene battezzato da Gabriele D’Annunzio.
Fonte: La Stampa