«Fare promozione senza tutela è come riempire una bottiglia con un buco sul fondo ». Nella laconica frase del direttore del consorzio del Parmigiano Reggiano DOP, Riccardo Deserti, c’è l’attuale momento dei prodotti alimentari di qualità made in Italy: la sola promozione sui mercati dei brand italiani non basta più e occorre un salto di qualità sul fronte della tutela dei marchi e della lotta alle contraffazioni. Il settore dei prodotti alimentari italiani Dop e Igp conta 259 riconoscimenti Ue per un fatturato all’origine che nel 2012 ha toccato quota 7 miliardi di euro (+2%) che diventano 12,6 miliardi al consumo (+5%). Di questi circa 2,5 miliardi (in lieve flessione, -1%) sono realizzati all’estero dove per. i prodotti italiani dal Parmigiano Reggiano DOP al Grana Padano DOP, dal Prosciutto di Parma DOP a quello di San Daniele DOP fino all’Aceto balsamico di Modena devono battersi con il fenomeno delle contraffazioni. «Promuovere prodotti che all’estero sono molto imitati – ha aggiunto il direttore del Consorzio del Parmigiano reggiano – senza al tempo stesso chiarire le differenze fra gli originali e i falsi rischia di valorizzare i primi ma, involontariamente, anche i secondi». Di qui l’esigenza di un vero e proprio giro di vite sul fronte della tutela dei marchi soprattutto al di fuori dei confini comunitari dove almeno si può contare sulla «rete di protezione» delle norme Ue. Più tutela quindi ma con quali investimenti? Una prima risposta può venire dal recupero delle risorse raccolte grazie alle sanzioni (fissate dal decreto 297 del 2004) sulle violazioni al sistema dei prodotti Dop e Igp. Il regime sanzionatorio, a partire dalla campagna 2005, ha prodotto un gettito di 2,5 milioni di euro l’anno. «Risorse che però – spiega il presidente dell’Aicig (l’associazione dei consorzi di tutela Dop e Igp che riunisce 58 consorzi e rappresenta l’87% del giro d’affari del settore), Giuseppe Liberatore – non sono associate alla lotta alle contraffazioni ma finiscono per essere assorbite dal mare magnum della spesa pubblica. Per questo chiediamo che venga istituito un link, un collegamento, fra il gettito delle sanzioni sulle Dop e le azioni di tutela degli stessi prodotti di qualità made in Italy». Azioni che a oggi impegnano i produttori e i loro consorzi con investimenti in spese legali nei tribunali internazionali che ammontano in media a circa 20 milioni di euro l’anno. In questa ottica recuperare il gettito legato alle sanzioni potrebbe coprire almeno una fetta del budget. Una proposta in questo senso è stata formalizzata ai vertici del ministero per le Politiche agricole nei giorni scorsi a Roma in occasione della presentazione del rapporto Qualivita- Ismea sulle produzioni Dop e Igp. «Parlare di qualità alimentare ha un sicuro appeal sul pubblico – aggiunge Liberatore -. Per questo organizzazioni agricole e associazioni dei consumatori spesso saltano sul “carro della tutela” lanciandosi in proclami sulla lotta alle contraffazioni Dop. Ma poi, va ricordato, quando si tratta di passare alle iniziative concrete restano in campo solo produttori e consorzi». A richiedere una forte controffensiva italiana ed europea sulla tutela del food di qualità c’è anche l’esigenza di contrastare la neonata associazione per i nomi generici degli alimenti (Consortium for Common Food Names, Ccfn). Una sorta di consorzio di produttori «Italian sounding», che si richiamano cioè all’Italia senza essere made in Italy e che richiedono l’autorizzazione a utilizzare nomi come Pannesan, Pecorino, Asiago, Gorgonzola, in quanto ritenuti «generici», cancellando così il sistema di protezione di Dop e Igp. Un’associazione promossa dalla americana Belgioioso Cheese ma sostenuta da nomi come l’American Meat Institute, l’American Cheese Society e dal Centro de la Industria Lechera Argentina. «Si tratta di un gruppo di imprese – conclude Liberatore – che per i propri obiettivi di lobbying ha stanziato un budget di circa 35 milioni di euro, una dotazione già superiore alla nostra. Senza contare che distruggere un sistema costa meno che tutelarlo
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