Italia Oggi
Su 28 Paesi Ue sono 19 quelli contrari alle colture biotech Usa, ma ora la titolare del Commercio viene dalla Svezia (pro-Ogm). Insieme alla democrazia, gli Stati Uniti hanno sempre avuto la fissazione di esportare anche gli Ogm (Organismi geneticamente modificati). Risultati? Fallimentari per la Casa bianca, ma ottimi per le multinazionali Usa delle sementi biotech. Un caso da manuale è stato l’Iraq del dopo Saddam Hussein. Era il 2003. Paul Bremer, appena insediato dal presidente George W. Bush come plenipotenziario del nuovo Iraq «democratico», emanò una serie di leggi che cambiarono in modo drastico l’intero paese. Licenziò circa 500 mila dipendenti dello Stato, privatizzò le 200 aziende pubbliche
, e con l’ordinanza numero 81 vietò ai contadini di «riutilizzare i semi delle varietà protette». Quest’ultima disposizione passò quasi inosservata, poiché si accompagnava agli aiuti agricoli che gli Stati Uniti inviarono per ripristinare le coltivazioni distrutte dalla guerra. Tali aiuti erano sementi Ogm gratuite, fino ad allora sconosciute in Iraq. Ma nel giro di due-tre anni i prezzi delle sementi aumentarono e gli agricoltori furono costretti a comprarle dalle multinazionali, poiché le produzioni Ogm non danno sementi. Obbligati così a sottoscrivere contratti capestro, di durata ventennale, con le multinazionali Monsanto, DuPont e Cargill, i contadini iracheni si trovarono ben presto strangolati dal costo delle royalties. Un’imposizione che ha contribuito non poco ad alimentare il sentimento antiamericano nell’Iraq del dopo Saddam.