Il Quotidiano
Non occorre essere esperti o studiosi di Marketing per capire l’importanza degli aggettivi etnici nella comunicazione, basta il buon senso: basta mettere sui piatti della bilancia della nostra psiche due espressioni che dovrebbero essere soltanto geografiche, e vedere quale pesa di più. Se regalate a un amico una bottiglia di “vino francese”, i suoi occhi si accenderanno; se gli regalate una bottiglia di “vino cileno” dovrete aspettarvi un “non sapevo che il Cile producesse vino”. A bottiglie chiuse, quale sarà il liquido di più alta qualità?
Lo stesso accade per “il profumo francese”, per “l’acciaio tedesco”, per “il whisky scozzese”, per “la cioccolata svizzera” e per “la vodka russa”: se sostituite o cancellate gli aggettivi che indicano la “nazionalità”, incredibile ma vero, offrirete sul mercato “tutto un altro prodotto”! Che ne direste di un “profumo danese”, di un “acciaio bulgaro”, di un “whisky polacco”, di un “cioccolato norvegese” e di una “vodka inglese”? Era su questo meccanismo psicologico che volevamo richiamare l’attenzione scrivendo l’articolo sull’Indicazione Geografica Tipica Venezia Giulia, che ha due difetti fondamentali: 1. viene utilizzata per vini prodotti al di fuori della Venezia Giulia, ammesso che esista; 2. l’espressione non è traducibile con un unico aggettivo: non può esistere, infatti, un vino friulo-giuliano o veneto-giuliano, così come non si può proporre al mercato un formaggio franco-inglese.