Il Giornale
Lo street food è ormai l’abracadabra della cucina italiana in tempo di crisi. Formula magica buona per dare una patina di allure a schegge di cucina povera, per etichettare con una formula ammiccante e modaiola una pratica antica, ma anche – a volte – per tirar fuori dal dimenticatoio piatti che meriterebbero di restarci. È la moda, bellezza. Bisogna essere un po’ pop per essere alti. Un po’ plebei per essere nobili. Così anche chef stellati si cimentano con la versione da marciapiede dei piatti che hanno dato loro la gloria. I due grandi di Senigallia, Moreno Cedroni e Mauro Uliassi, hanno preso il compito molto sul serio, allestendo baracchini in riva al mare dove togliersi lo sfizio di un cartoccio di pesce griffato da mangiare sulla spiaggia. Altri si limitano a giocare con panini d’autore o piade griffate. Fu vera gloria? Mode linguistiche, il cibo da strada ci salverà. Lo hanno capito gli chef stradaioli di tutta Italia, che hanno trasformato grandi classici della cucina attovagliata in delizie prét-à-porter. Con risultati a volte entusiasmanti, sempre e comunqueinteressanti. Prendete le apecar diPastàMobile che percorrono il Piemonte, portando ovunque agnolotti, plìn e taj arìn cotti al momento, conditi con ingredienti di qualità certificata e serviti in piattini biodegradabili dal design giusto.
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