Il Gazzettino di Rovigo

Non avrebbe proprio bisogno il martoriato bacino idrico polesano di ulteriori insidie sotto forma di scarichi di natura industriale che peggiorino ancora la qualità delle acque adoperate per usi umani e agricoli. E invece, sia pur indirettamente, è quello che rischia di accadere con il progetto di riversare in Adige le acque del Fratta-Gorzone, il corso d’acqua della Bassa padovana che raccoglie e confluisce a valle i reflui della rete di canali alimentati anche dalle acque di risulta degli stabilimenti conciari della pedemontana vicentina.

Già, perché si tratta di acque, ancorché insufficientemente depurate, e dei sedimenti depositati in decenni di mala gestione sul fondo del Fratta-Gorzone, che contengono una pletora di sostanze chimiche, alcune di natura cancerogena conclamata, altre addirittura di fisionomia incerta tanto da non essere neppure normati i limiti oltre i quali il pericolo per la salute diventa irreparabile. Ma tant’è. A scontrarsi sull’argomento sono gli interessi contrapposti dell’area padovana messa in ginocchio da esondazioni irrefrenabili nel 2010 e nell’autunno scorso, e quelli del mantenimento della salubrità dell’Adige dal quale attingono gli acquedotti di due terzi del Polesine e le bove altopolesane da cui nasce l’Adigetto in primis, per irrigare gli orti di Lendinara e Lusia, con i rischi per le pregiate colture Igp.

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