Dall’inizio della fase recessiva un cospicuo numero di marchi dell’agroalimentare italiano è stato rilevato da grandi aziende multinazionali straniere che hanno scommesso in maniera significativa sul marchio Made in Italy, sinonimo in tutto il mondo di qualità, tipicita’ e sicurezza alimentare. In alcuni casi le aziende acquirenti non hanno il loro core business nell’agroalimentare e non mirano al mantenimento della produzione di qualità, bensì al marchio italiano da utilizzare sui mercati mondiali per ottenere profitto a breve termine. Fenomeno che non riguarda solo i grandi brand privati italiani, ma anche le piccole aziende sparse per la Penisola, soprattutto nel comparto vitivinicolo. Difficile capire quali saranno gli impatti futuri nel settore, quando attori stranieri avranno un reale peso anche nella gestione dei marchi geografici attraverso le quote consortili e disporranno di una capacità imprenditoriale superiore nei mercati esteri.
Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un incremento notevole delle acquisizioni di terreni destinati alla produzione vitivinicola. Un fenomeno che merita di essere analizzato per comprendere quali siano i possibili scenari futuri, visto che non tutti i nuovi acquirenti hanno la stessa natura e gli stessi obiettivi. «Al momento – testimonia Ezio Pellessetti, consigliere delegato dell’ente di certificazione Valoritalia –credo sia possibile distinguere tra coloro che acquistano tre diversi profili: chi decide di fare business puntando su prezzo e qualità, chi vede nell’azienda vitivinicola italiana uno status symbol, e infine i fondi di investimento, molto spesso di private equity, improntati alla ricerca di profitti in tempi brevi».
Nel villaggio globale sarebbe insensato ritenere una minaccia la fusione culturale che anche nell’agroalimentare avviene continuamente, ma sarebbe altrettanto insensato non concentrarsi sulla preservazione dei tratti che rendono tipiche e inconfondibili le produzioni vitivinicole italiane. Soprattutto perché senza regole certe non è detto che queste produzioni abbiano un futuro. «In alcuni casi – continua Pellissetti – i nuovi proprietari stranieri si calano nel territorio allo stesso modo dei produttori locali, se non meglio, con più cura e attenzione alle regole produttive e alla tipicità. In altri casi, però, la situazione è molto diversa e rappresenta motivo di preoccupazione. Quando sono i fondi di investimento a rilevare le aziende, si assiste spesso ad una perdita di identità perché questi soggetti si muovono per ottenere vantaggi economici a breve termine».
Alessandro Regoli – direttore di Winenews – vede soprattutto un’opportunità in questi processi: «l’epoca in cui l’acquisto di un’azienda vitivinicola rappresentava una speculazione, soprattutto immobiliare, credo sia ormai terminata. Ci ha pensato la crisi a far riportare i piedi per terra, nel senso che se si sceglie di fare business con il vino bisogna farlo con cognizione di causa e non attraverso meccanismi e strategie di breve respiro. Molte di quelle aziende sono in difficoltà e, in alcuni casi, in liquidazione. Speriamo che qualche investitore, che arrivi magari anche da fuori, le faccia rinascere».
Il pericolo che i nostri vigneti di qualità possano sostituire il caveau di una banca è in effetti una delle possibilità, ma i grandi spostamenti di denaro internazionale necessitano di un monitoraggio attento. «Succede che le acquisizioni rappresentino una speculazione di tipo immobiliare – conclude Pellissetti – ; in questi casi è il territorio che deve trovare un antidoto contro il rischio di una perdita qualitativa e, nel lungo periodo, economica. L’indotto generato dal settore del vino coinvolge molto di più delle singole aziende vitivinicole».
Il Paese dovrà fare la sua parte, gestendo la fase con norme chiare e definitive, che aiutino a crescere le nostre eccellenze a D.O. Questo non significa introdurre barriere o emanare leggi che puniscano a priori, ma comprendere la complessità del fenomeno per guidarlo sulla strada della qualità, una strada che per il vero Made in Italy ha sempre pagato.