Made in Italy: secondo uno studio di The European House-Ambrosetti i danni provocati dalle imitazioni, come Parmesan & Co, sono più subdoli delle contraffazioni perché i consumatori comprano pensando di acquistare italiano.
Se i prodotti Made in Italy acquistati nel mondo fossero tutti davvero di provenienza italiana l’export agroalimentare passerebbe dagli attuali 50,1 miliardi di euro a quasi 130. Se poi si riuscissero a sostituire anche i prodotti contraffatti si supererebbero i 150 miliardi. In pratica l’export agroalimentare si potrebbe moltiplicare per tre, con vantaggi enormi per i nostri agricoltori, le industrie di trasformazione e l’economia italiana nel suo complesso.
A fare il punto sull’Italian Sounding è uno studio di The European House – Ambrosetti, presentato durante la sesta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni“, a Bormio. L’Italian Sounding, spiegano gli analisti di Ambrosetti, è più subdolo e fa più danni al Made in Italy della contraffazione, perché il Parmesan, per esempio, tecnicamente non è un prodotto contraffatto, ma un formaggio prodotto in Paesi diversi dall’Italia che però «evoca denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni e marchi del Bel Paese». In pratica sembra italiano, ma non lo è, ma i consumatori lo comprano pensando che lo sia.
Tanto più in Paesi, come la Cina, dove le difficoltà di traduzione fanno sì che si usi la stessa parola per indicare entrambi i prodotti, “Paerma ganlao”, letteramente “formaggio di Panna”. E così il consumatore cinese, che sarebbe disposto a spendere un po’ di più per un prodotto italiano doc, a differenza di quello tedesco, che acquista l’Italian Sounding soprattutto per risparmiare (e infatti la differenza di prezzo con un prodotto originale può arrivare al 70% negli scaffali tedeschi), compra una “imitazione” soprattutto perché non ha sufficienti informazioni per poter distinguere. Tra i prodotti più imitati ci sono il ragù, il parmigiano e l’aceto balsamico.
«Alla base della estesa diffusione dell’Italian Sounding nel mondo, ci sono diverse concause, che sono state analizzate dallo studio che abbiamo realizzato con Assocamerestero. – spiega Valerio De Molli, Managing Partner & Ceo di The European House – Ambrosetti. «Prima fra tutte la scarsa consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze distintive del Made in Italy agroalimentare e una preferenza per prodotti a prezzi accessibili, come testimoniato dal successo dei discount in Germania, che incidono per il 42,2% del retail food, rispetto al 21,7% italiano. Ci sono poi le barriere tariffarie e doganali che riducono la competitività dei prodotti nostrani sui mercati esteri: ne sono esempio i dazi aggiuntivi del più 25% sui prodotti italiani negli Stati Uniti e i divieti assoluti di esportazione di alcune categorie merceologiche in Cina, quali ad esempio i salumi. Si osserva poi un`elevata concentrazione di prodotti Italian Sounding in Paesi in cui l’emigrazione italiana è stata storicamente maggiore, a partire da Australia e Brasile, dove c`è un grande desiderio di prodotti italiani che sono però ancora poco presenti su questi mercati».
Proprio dall’analisi delle cause vengono fuori i possibili rimedi, per cercare di recuperare almeno una parte delle quote di mercato “sottratte” al nostro agroalimentare, sicuramente quelle che fanno riferimento a una scelta non consapevole dei consumatori. Gli analisti di Ambrosetti suggeriscono quindi di far conoscere e valorizzare con maggiore efficacia il marchio Made in Italy si possono adottare strategie diverse, che vanno dal coinvolgimento delle comunità di italiani all’estero, che tra l’altro sono in testa tra gli acquirenti dei prodotti italiani, ma anche tra quelli Italian Sounding, alla promozione delle etichette impossibili da imitare, e chiaramente distinguibili, dalle DOP alle IGP, ma potrebbe anche essere utile creare una unica etichetta identitaria. La forza del marchio, poi, andrebbe accompagnata da tutto quello che accompagna e rafforza il Made in Italy, a cominciare dalle sinergie con il turismo (tra l’altro hanno sempre maggiore successo i pacchetti che abbinano i percorsi artistici a quelli gastronomici).
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Fonte: Affari & Finanza – La Repubblica