Nella black list di prodotti destinati a restare vittime dei dazi minacciati da Trump non ci sono il Prosciutto di San Daniele DOP e il formaggio Montasio DOP, le due uniche Dop – fatta eccezione per i vini – dell’agroalimentare FVG. I vertici dei rispettivi Consorzi, quindi, prestano particolare attenzione all’evolversi del braccio di ferro tra USA e UE. «Il nostro prosciutto non figura in questa prima lista, ma sappiamo bene di non essere esenti dal rischio di ritorsioni commerciali – ha commentato il direttore del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, Mario Cichetti – e per questo l’attenzione è massima». Se il cono d’ombra dovesse allargarsi e minacciare di dazi anche la fettina rosa il danno sarebbe importante per il comparto San Daniele che proprio in Usa, negli ultimi cinque anni, ha aumentato in maniera esponenziale la penetrazione. «Da quinto che era, il mercato a stelle e strisce è diventato per noi il secondo per volumi di esportazione», fa sapere Cichetti ricordando che su 2,7 milioni di cosce prodotte sono circa 380 (il 17%) quelle destinate a uscire dai confini nazionali. Verso la Francia, che resta salda al primo posto tra i Paesi di esplorazione del prosciutto, quindi dagli Usa e dalla Germania.
A sostegno dell’espansione negli Usa c’è un importante impegno delle aziende. Non solo di tipo commerciale e distributivo. «I prosciuttifici che lavorano per il mercato a stelle e strisce sono soggetti al rispetto di particolari regole stabilite tra Italia e Stati Uniti da accordi bilaterali – sottolinea Cichetti -. Dal punto di vista delle norme sanitarie sono quasi territorio americano». Tanto a dire quali e quante complessità vi siano nel rapporto con gli USA oltre a quelle fiscali. Complessità che rendono difficile lo sbarco oltreoceano per prodotti che non hanno la potenza di fuoco del San Daniele ma che si stanno comunque ritagliando un loro spazio negli Stati Uniti. Vale per l’altra DOP dell’agroalimentare di casa nostra: il Montasio. Com’è noto, il formaggio è in gran parte assorbito dal mercato regionale, meno del 10% finisce all’estero. Nel 2016 (ultimo dato disponibile relativo alle esportazioni) su 920 mila forme prodotte erano state esportate in America 27 mila forme (circa il 3%), una quantità piccola, ma in lenta e costante crescita, che in caso di dazi alla dogana rischierebbe di essere azzerata, mandando in fumo un lavoro di anni.
Fonte: Messaggero Veneto