Milano Finanza
Compie mezzo secolo e lo festeggerà con 525 tra figlie e nipoti, tante sono oggi le denominazioni d’origine e le Igt nate dall’istituzione della legge sulle Doc, il primo grande passo per dare identità e valore certi al vino italiano nel mondo. Correva l’anno 1963 e l’Italia del vino viveva un caos medievale di cui il dpr 930/1963 decretò l’inizio della fine. La legge che racchiude le «Norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini» finalmente portò un po’ di ordine e chiarezza in una produzione e un mercato dove praticamente ognuno faceva quel che voleva. Questo avvenne, innanzitutto, stabilendo che le denominazioni dei vini non potevano essere più usate in regime di completa deregulation. Venne istituita così la categoria dei vini a Denominazione d’origine controllata, ognuno riconosciuto con decreto, che mise fine alla mistificazione delle denominazioni e moralizzò il mercato. Ma non solo. La legge introdusse, per diritto e per orientamento culturale tutto il sapere odierno in materia di qualificazione dei vini, di economia del gusto e di valorizzazione dei territori di eccellenza del nostro Paese. La dizione «Doc», insomma, benché riferita all’insieme di norme che regolano i vini di qualità italiani, nel tempo, si è trasformata in un vero e proprio «marchio» che, nel lessico comune, va a contrassegnare una persona, un oggetto, un luogo, un settore che si «certifica» per stile, classe e alta qualità. Il risultato di questo percorso è il successo del vino italiano nel mondo, con le etichette del Belpaese ai primi posti nelle classifiche internazionali più prestigiose, in grado di combattere una battaglia vincente per la competitività con i vini di Australia, Cile, Sudafrica, Argentina e Stati Uniti, arrivati prepotentemente sui mercati con investimenti colossali.
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