L’ultima mazzata è arrivata da quei mercati che rappresentavano lo sbocco privilegiato. In Russia e Brasile la vendita del Lambrusco andava a gonfie vele, ma poi la crisi ha bloccato tutto riducendo da 20 a 2 milioni il numero di bottiglie esportate per ciascuno dei due Paesi. E’ una delle ragioni principali, non l’unica, della crisi di questo vino che ha portato sei grandi produttori del Modenese e del Reggiano a lanciare un grido di allarme con una serie di proposte per uscire da una crisi che richiederà scelte coraggiose.
Si pensa infatti al passaggio dall’IGP al prodotto DOP per puntare sulla qualità di un prodotto così apprezzato negli ultimi anni da entrare nelle grinfie dei falsi che ne hanno eroso le quote di mercato. Nel breve periodo, invece, una prima soluzione tampone potrebbe portare allo stoccaggio di circa il 1o% del prodotto per poi decidere di «liberare» e dunque commercializzare in base all’andamento del mercato. Si produce troppo Lambrusco, l’offerta supera la domanda e questo significa crollo dei prezzi: l’anno scorso – le sole sei cantine firmatarie del documento hanno lavorato oltre 2,1 milioni di quintali d’uva, producendo più di un milione di ettolitri di Lambrusco. Anche per quest’anno sono attesi gli stessi risultati e ciò – paradossalmente – può essere un problema:
E’ successo tutto in pochi anni: il Lambrusco brilla nelle vendite, c’è un boom di richieste per impiantare nuovi vigneti («al 31 dicembre 2015 ci sono richieste per nuovi vigneti su i.6oo ettari» sottolinea Piccinini), si produce sempre più uva. Dalle cantine di Modena e Reggio Emilia sul mercato arrivano 250 milioni di bottiglie, almeno 350 milioni di euro di vendite. Poi la crisi in Russia e Brasile, i mercati più importanti. Ma se nell’ultimo anno le vendite qui sono crollate, altrove si sono ridotte anche per effetto delle contraffazioni che portano sul mercato frizzantini a prezzi inferiori. I fattori della crisi sono dunque intrecciati, per i firmatari del documento la strada per uscire dalla crisi risponde al rilancio del Lambrusco come prodotto di qualità che non competa unicamente sul prezzo. E dunque: vincoli più stringenti rispetto alle nonne relative all’IGP (già applicati dalle 6 cantine firmatarie), codici alfanumerici per bloccare frodi fino alla svolta epocale, il passaggio dell’intera produzione a DOP: «Consentirebbe maggiori controlli e dunque garanzie a tutta la filiera, oltre ad un aumento della qualità» conclude Piccinini.
Fonte: Corriere Imprese