Il dubbio sulla pronuncia con vocale tonica aperta, pasca, o chiusa, pésca, continua ad attanagliare alcuni, ma la regola è che la parola con vocale aperta identifica quanto ci dona, dalla metà di maggio alla fine di settembre (più del 60% della produzione e commercializzazione avviene ora, tra luglio e agosto), l’albero del pesco, quella con vocale chiusa l’attività di cattura dei pesci con ami oreti. Per intenderci, ecco un esempio: «Io mangio la pèsca mentre mi rilasso qualche ora a pésca con la mia canna nuova di zecca». L’albero del pesco, che può raggiungere anche 8 metri di altezza e il cui frutto è la succosa e profumata pesca (ecco un`altra piccola legge linguistica della tassonomia botanica, l’albero è generalmente indicato al maschile, il suo frutto al femminile), è una specie del genere Prunus e della famiglia delle Rosaceae, Prunus persica. Quel «persica» vuol dire «della Persia», origine intermedia che, vista la trasposizione più o meno immutata, resta impressa in molti nomi dialettali italiani come il romanesco «persica», il genovese «persiga», il veneto «pèrsego», eccezione alla regola del femminile per il frutto con l`albero che si chiama «pèrsegaro», o il sardo «pessighe/pessike», mentre in italiano, attraverso l`evoluzione del latino persicam in persica arriviamo, infine, a «pesca».
Il pesco è più antico dell’uomo: sono stati trovati noccioli di pesche fossili della fine del Pliocene proprio a Kunming, nel sud ovest della Cina, di cui il nostro albero è inizialmente originario. E la Persia? Dalla Cina, il pesco arrivò in Giappone nel 470o-4400 a.C., poi in India nel 1700 a.C. e poi in Occidente, lungo la Via della Seta, appunto attraverso la Persia (l’odierno Iran), dove iniziò ad essere coltivata in modo molto esteso e poi di nuovo esportata altrove come Prunus… della Persia, appunto. L’esplosione nel Mediterraneo e in Europa avvenne coi romani, che trasportarono l’albero sino in Africa del nord, Spagna e perfino Gran Bretagna. Attualmente la Cina ha tre tipi di pesco, del nord, del sud e del nord ovest, e ben 495 varietà. La pesca è decisamente riverita in Cina: già gli imperatori servivano le pesche nei banchetti, gli artisti le raffiguravano sulle ceramiche, i letterati li citavano nei propri scritti (la mitologia cinese narra che il Palazzo di Giada della Regina-Madre dell`Occidente, Hai Wang Mu, fosse circondato da-un meraviglioso giardino che ospitava l’albero di Pesco dell’Immortalità, i cui frutti potevano essere mangiati soltanto dagli esseri umani ai quali gli dei lo avessero concesso in funzione delle loro virtù).
Quelle che troviamo oggi nei supermercati, però, sono molto spesso le pesche piatte… spagnole. Già. In Italia coltiviamo circa 500 ettari a platicarpa e in Spagna, invece, soltanto negli ultimi cinque anni sono arrivati ad occupare ben 5.000 ettari. Non compriamole, quindi, e se non troviamo tabacchiere nostrane, prendiamo le pesche tonde italiane: le troveremo sicuramente. La nostra produzione peschi, infatti, in Italia, nel 2019 (dati Istat) ha fruttato un raccolto di 4.150.516 di quintali di pesche nettarine e 8.098.899 quintali di pesche normali, con un impegno di 18.955 ettari in coltivazione per le prime e di 42.942 ettari perle seconde. Gli ultimi dati a disposizione sulla produzione mondiale di qualche anno fa spiegano come il 55% della produzione mondiale sia in mano alla Cina, con 11,9 milioni di tonnellate. Al secondo posto seguiamo noi, con 1,4 milioni, un dato non differente da quelli produttivi più recenti, poi la Spagna, poi gli Stati Uniti, infine la Grecia. Una pesca di dimensioni medie pesa circa no grammi, togliendo i circa 5 grammi del nocciolo, ne mangiamo circa 115 grammi. Considerato che 100 g di pesca presentano 39 calorie, ci troviamo di fronte a un frutto fortemente ipocalorico che possiamo consumare in quantità.
La pesca fa benissimo. Coi suoi 88,87 g di acqua, rappresenta uno snack innanzitutto reidratante. E poi tonificante e saziante, contenendo, su 9,54 g di carboidrati totali, 8,39 g di zuccheri semplici che tirano su l’organismo afflitto dall’afa e dall’eccesso di sudorazione che disperde i sali minerali, e 1,5 g di fibra che aiuta sia contro l’ipercolesterolemia, sia a mantenere la sensazione di sazietà più a lungo. Sempre per la fibra,la pesca stimola il transito intestinale combattendo la stitichezza e, meccanicamente, «disintossica» l’intestino dalle tossine mentre lo attraversa. Col suo quantitativo di potassio, 190 mg, stimola la diuresi, così contrastando la ritenzione idrica e, indirettamente, la cellulite, mantenendo anche in formai reni. Per il potassio e l’effetto diuretico ha anche la capacità di abbassare la pressione arteriosa in chi la presenta troppo alta. Presente anche il magnesio, 9 mg, sale minerale che aiuta a rilassare la muscolatura e perciò è molto utile per numerose problematiche, dall’insonnia e il nervosismo ai crampi muscolari e la dismenorrea (le mestruazioni dolorose). Sia la buccia, sia la polpa della pesca presentano un mix antiossidante non indifferente che rende questo frutto un gustoso complice di chi vuol mantenersi giovane: abbiamo betacarotene nella misura di 162 microgrammi e poi luteina e zeaxantina in quella di 91 microgranuni totali. Il betacarotene incentiva la produzione della melanina nella pelle esposta al sole, con lo scopo di proteggerla dai danni ossidativi portati dai radicali liberi. Esplica lo stesso effetto protettivo nei confronti degli occhi e del cuore.
Fonte: La Verità