DOP , IGP e i prodotti tipici italiani, un giro d’affari che fa gola a molti. Croce e delizia per l`intero comparto (senza dire ovviamente di chi li assaggia), sono continuamente alla ribalta delle cronache per i loro successi ma anche per gli attacchi che subiscono. In gioco, c’è un mercato che negli anni è cresciuto continuamente in termini quantitativi e come giro d’affari.
Per capire le dimensioni dell’argomento, basta pensare all`’ltimo caso. Il Prosek croato, che presto potrebbe fare concorrenza al Prosecco DOP italiano, punta ad infilarsi in un mercato all`export che vale da solo oltre un miliardo di euro. Per questo, con ragione, i coltivatori diretti hanno parlato, riferendosi a quest`ultimo caso, di un vero “attacco al Made in Italy“. Che d`altra parte ha dimensioni ben più importanti. Quello che viene definito “Italian sounding“, cioè il fenomeno di imitazione di prodotti italiani per sfruttarne l`immagine, varrebbe stando alle stime effettuate da Coldiretti circa 100 miliardi all`anno.
Pirateria agroalimentare internazionale, viene definita, che usa “impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all`Italia per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale”. Tanto che sempre i coltivatori hanno finanziato un Osservatorio Agromafie per monitorare il fenomeno oltre che per proporre soluzioni. E, a finire nelle maglie dell`Italian sounding sono ormai alcuni dei più importanti prodotti agroalimentari tipici nazionali: dal Parmigiano Reggiano DOP ai migliori prosciutti e insaccati italiani, dai vini più importanti fino alle nocciole.
La “DOP Economy“, così è stato definito il comparto dei tipici agroalimentari, continua a macinare successi. Il valore della produzione stimato da Coldiretti su dati Ismea-Qualivita, è di 16,9 miliardi di euro, quello delle esportazioni arriva a 9,5 miliardi, i lavoratori coinvolti sarebbero oltre 180mila. Tutto da 316 prodotti DOP/IGP/SRG riconosciuti e 526 vini DOP/IGP. Che occorre tutelare proprio dagli attacchi internazionali, ma che forse va anche preservato da una abnorme crescita quantitativa che potrebbe andare a discapito della qualità.
Anche se ha ragione Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, a ricordare che “dietro ogni prodotto c`è una storia, una cultura ed una tradizione che è rimasta viva nel tempo ed esprime al meglio la realtà di ogni territorio» e che è necessario “valorizzare per aumentare la spinta pro- pulsiva del Made in Italy sui mercati esteri”. Tenendo conto che le esportazioni hanno ormai superato i 50 miliardi di euro e che ad imitare di più i nostri prodotti tipici sono proprio i paesi più ricchi. “I più attivi taroccatori del cibo Made in Italy nel mondo sono proprio i Paesi ricchi ed emergenti del G20“, hanno denunciato i coltivatori diretti in occasione del recente summit di Firenze. Mentre Luigi Scordamaglia, consigliere delegato Filiera Italia, dice: “L`entusiasmo con cui abbiamo accolto i risultati eccezionali in termini di aumento dell`export agroalimentare della prima metà dell`anno ( +11%) è smorzato dalla crescita molto più veloce delle imitazioni e dei prodotti Italian sounding e dall`arroganza di Paesi terzi che pensano di fare tutto ciò che vogliono”.
Scordamaglia non se la prende però solo con “taroccatori” come i “produttori statunitensi che hanno preteso ad esempio di registrare denominazioni di nostre eccellenze come l`Asiago in Sudamerica”, ma anche con “l`atteggiamento della Commissione europea che si concentra come al solito sui commi normativi e non sulla sostanza avviando la procedura di riconoscimento del termine Prosek e in questo modo rende più debole la nostra posizione di tutela sui mercati di quei Paesi». Lo stesso poi sottolinea però che “fermo restando che la biodiversità straordinaria, la varietà dei prodotti di qualità del nostro Paese è un patrimonio enorme da preservare dobbiamo stare attenti a non far proliferare eccessivamente DOP e IGP su prodotti che non abbiano poi un minimo di volume e di continuità produttiva che ne renda possibile la conoscenza e la distribuzione nei nostri mercati di export. Il rischio è che alcuni di questi prodotti senza una filiera minimamente strutturata rimangano una pura espressione culturale, bella ma poco utile”.
Ma quindi che fare? Forte informazione da una parte e maggiori controlli dall`altra paiono essere sempre i due strumenti fondamentali. “Gli ottimi risultati dell`attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” dice ancora Prandini nell`evidenziare che “l`innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato“. Poi c`è il vasto campo dell`informazione che non significa solo etichette più chiare con l`origine del prodotto, ma anche un`educazione alla scelta alimentare che, anche in Italia, deve forse fare ancora molta strada.
Fonte: Avvenire