C’erano, una volta, furgoncini scalcagnati e carretti d’annata che si appostavano davanti a stadi e palasport per intercettare gli spettatori di una partita di calcio o di un concerto rock e rifocillarli con hamburger, piadine e hot dog spesso unti, di qualità non eccelsa e per niente dietetici. Neanche a dirlo i clienti erano salariati o studenti squattrinati. Poi sono arrivati la crisi economica, il cambio delle abitudini e una vita più frenetica, che malsi adattano ai classici pasti seduti al ristorante. Si è cominciato a mangiare per strada per necessità, per fretta, per spendere poco o per moda. Così lo Street food ha fatto boom, è diventato stellato e di tendenza. E si è trasformato in un vero e proprio business, che genera un importante indotto, che va dall’allestimento dei furgoni all’offerta di semilavorati, dal franchising chiavi in mano all’organizzazione di eventi e festival dedicati allo Street food.
Allestire un veicolo parte dai 30.000 euro di un’Ape per arrivare ai 60.000 euro minimi di un furgone, mentre per le pratiche burocratiche si spendono circa 500 euro. Ma quello dei permessi non è un terreno facile. “La grande differenza nell’applicazione dei regolamenti amministrativi, da zona a zona, costituisce un freno allo sviluppo delle attività – spiega Mauro Rosati, autore del manuale La qualità si fa strada. Street food. Nuova gastronomia e marketing digitale, edito dalla Fondazione Qualivita – e in assenza di un’armonizzazione normativa, l’Italia rischia di non cogliere appieno l’opportunità di sviluppo e tutte le potenzialità”.
Giusto qualche numero: Assotemporary stima che oggi in Italia siano in circolazione 23mila negozi a tre o quattro ruote e Coldiretti informa che in un anno gli operatori sono aumentati del +10% e che almeno il 73% degli italiani consuma abitualmente cibo di strada, spaziando dalle specialità della tradizione regionale o locale a quelle etniche, purché di qualità. Ma in Italia c’è ancora spazio per questo filone imprenditoriale o siamo arrivati alla saturazione? Secondo gli operatori del settore la vena è ancora florida, ma, avvertono, a patto di non improvvisare: servono serietà e professionalità, bisogna pianificare bene. E, mentre c’è chi comincia a sentire l’urgenza di riflettere sui rischi di questo boom, soprattutto in termini di banalizzazione e perdita dell’autenticità, e chi invoca un intervento legislativo per fare chiarezza e garantire i consumatori, qualcun’altro pensa invece a crescere e a esportare l’Italian Street food anche al di fuori dei confini nazionali.
Fonte: Gdoweek
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Per approfondire il tema Street Food di qualità made in Italy è disponbile in formato cartaceo e iBook, il nuovo libro sul marketing digitale sul cibo di strada italiano scritto da Mauro Rosati e Mihaela Gavrila con la prefazione di Alberto Mattiacci, edito dalla Fondazione Qualivita.Il libro ripercorre l’evoluzione dello Street food italiano come fenomeno sociale e mediatico, partendo dal suo debutto nei Mainstream Media fino alla sua declinazione secondo le regole digitali nei Nuovi Media, diventando il primo manuale di marketing digitale pensato per gli operatori della gastronomia di strada.